Per la Giornata mondiale della Pace 2016

LA PACE COME CAMMINO E, PER GIUNTA, IN SALITA

Papa Francesco andò il 6 giugno 2015 alla città martire Saraievo in Bosnia ed Erzegovina, e incoraggiò il dialogo e la collaborazione per rimarginare le ferite del passato. Ci viene spontaneo ricordare la presenza dell’Arcivescovo don Tonino Bello, presidente di Pax Christi, per la marcia della pace a Saraievo,  dicembre 1992. Morirà il 20 aprile 1993.

A DIRE il vero non siamo molto abituati a legare il termine “pace” a concetti dinamici. Raramente sentiamo dire: “Quell’uomo si affatica in pace”,
“lotta in pace“, “strappa la vita coi denti in pace”. Più consuete, nel nostro linguaggio, sono invece le espressioni: “sta seduto in pace”, “legge in pace”, “medita in pace” e, ovviamente “riposa in pace”.
La pace, insomma ci richiama più la vestaglia da camera che lo zaino del viandante. Più il confort del salotto che i pericoli della strada. Più il caminetto che l’officina brulicante di problemi. Più il silenzio del deserto che il traffico della metropoli. Più la penombra raccolta di una chiesa che una riunione di sindacato. Più il mistero della notte che i rumori del meriggio.
Occorre forse una rivoluzione di mentalità per capire che la pace non è un dato, ma una conquista. Non un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno.  Non un nastro di partenza, ma uno striscione di arrivo. La pace richiede lotta, sofferenza,tenacia.
Esige alti costi d’incomprensione e di sacrificio. Rifiuta la tentazione del godimento. Non tollera atteggiamenti sedentari. Non annulla la
conflittualità. Non ha molto da spartire con la banale “vita pacifica”.
Sì, la pace prima che traguardo è cammino. E, per giunta, cammino in salita. Vuol dire allora che ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi, i suoi percorsi preferenziali e i suoi tempi tecnici, i suoi rallentamenti e le sue accelerazioni. Forse anche le sue soste. Se è così occorrono attese pazienti.
E sarà beato, perché operatore di pace, non chi pretende di trovarsi all’arrivo senza essere mai partito ma chi parte. Col miraggio di una sosta sempre gioiosamente intravista, anche se mai – su questa terra s’intende – pienamente raggiunta.

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