Gesù ha i suoi nomi / 8

GESÙ, «IL MAESTRO»

Icona del Cristos didàskalos, Cristo Maestro di Scuola bizantina-slava. «Il parlare di Gesù accompagna il suo agire e lo interpreta: la signoria di Dio è dimostrata attraverso le opere e illustrata attraverso le parole». (Card. Carlo Maria Martini).
LA figura del «maestro» riveste un ruolo importante nella tradizione religiosa e culturale del popolo della Bibbia. Gli ebrei lo chiamavano con il nome rabbì (che significa: «mio Grande», cioè «mio Signore») e lo circondavano di profondo rispetto. Infatti in una civiltà della parola, come quella antica, l’insegnamento del maestro, che spaziava su ogni campo del sapere, occupava un posto centrale.
Applicato a Gesù, il nome ebraico rabbì (“maestro”) è reso nei Vangeli con diversi termini greci: didàskalos (Gesù è «colui che insegna», annunciando il Regno di Dio), epistàtes (Gesù è «colui che ha un’autorità superiore », nei confronti dei maestri del suo tempo, cioè gli scribi e i farisei, Lc 5,5), katheghetès (Gesù è «colui che guida» sulla via della Verità di Dio, a differenza delle «guide cieche», quali sono i dottori della Legge, Mt 23,10.16). Gesù è «maestro» perché è il rivelatore del Padre: «La mia dottrina [= il mio insegnamento] non è mia, ma di colui che mi ha mandato» (Gv 7,16).
I discepoli e le folle chiamano Gesù con il nome di «maestro» non perché imparano da lui le cose che insegnano gli altri maestri ebrei dell’epoca, ma perché «imparano» Gesù stesso. In Gesù, perciò, il titolo «maestro» supera quella concezione che rischia di collocarlo nel solo ambito culturale o rischia di fare di lui un «maestro di morale», come ancora oggi molti pensano di lui.

Don Primo Gironi, ssp, biblista

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